Nel 1952 la filosofa tedesca Hannah Arendt, allieva di Heidegger all'Università di Marburgo, scrisse un libro che ha fatto epoca: “Le origini del totalitarismo”. La studiosa osservava che tutti i totalitarismi vogliono intervenire sulle coscienze e plagiarle, vogliono privare i cittadini della libertà per ottenerne l’obbedienza assoluta ed incondizionata.
Ovviamente i totalitarismi
hanno agito con la violenza delle armi, ma non dobbiamo dimenticare un altro
strumento di controllo delle masse: l’informazione. Da sempre i regimi che
vogliono diventare totalitari assumono il controllo dei mezzi di comunicazione.
A tal riguardo la Arendt scrive. “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto oppure il comunista convinto, ma le persone per le quali non c'è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso.”
Questa è l’operazione veramente più radicale per
manipolare le coscienze: togliere loro i punti di riferimento, i dati di realtà
che consentono di formarsi un’opinione personale non condizionata dalle
ideologie e dal colore della casacca indossata dagli ufficiali dei regimi.
Il sociologo americano
Joseph P. Overton (1960-2003), ha ideato uno schema chiamato “The Overton Window”.
Il circuito dei media, secondo Overton, può insinuare nel mainstream qualunque
opinione o comportamento che fino a qualche tempo prima sarebbe stato
considerato inaccettabile. Questi comportamenti diventano progressivamente considerati
normali, poi vengono incoraggiati e possono arrivare a diventare leggi o regole
senza che le persone avvertano l’avvenuta forzatura.
La sequenza comincia
con l’apertura della finestra con la presentazione di un’idea impensabile, che
genera rigetto ed è generalmente oggetto di un preciso divieto. Però la stessa
apertura della finestra fa in modo che l’idea penetri sempre più nel campo
della coscienza degli individui. Quindi comincia ad essere oggetto di dibattito
e il pubblico comincia ad introdurre dei distinguo, soprattutto in nome del
sacrosanto diritto alla libertà di espressione. Il passo successivo è l’accettazione
dell’idea purché attuata da altri. In tal modo l’idea errata diviene socialmente
accettabile e non è più percepita come pericolosa. Semplicemente è un’idea come
tante altre.
A questo punto la
trappola è ormai scattata. I media mainstream diffondono l’idea errata e sempre
più persone cominciano ad aderire. La fine del processo è data dalla
legalizzazione di un’idea sbagliata perché le persone hanno perso completamente
la coscienza dell’errore insito nell’idea stessa, in altri termini hanno perso
il senso della realtà.
Un altro esempio è dato
dalla macchina del fango, recentemente stigmatizzata dal segretario del partito
comunista Marco Rizzo che afferma: "La destra sovranista
sta soffrendo - ha detto Rizzo ai microfoni di Coffee Break su La7 -
Nell'operazione di normalizzazione del sistema politico a favore della finanza
e del buon governo si vogliono far passare i partiti come cose inutili. Salvini
ha fatto la sua fortuna con migranti e lotta alla droga. E pochi giorni prima
delle elezioni scoppia il caso Morisi. Stessa cosa vale per Fratelli d'Italia:
il caso della lobby nera viene fuori proprio adesso? Questo è il secolo di un
controllo molto più sottile. Un tempo ti sparavano, adesso fanno un'inchiesta.
Tutto quello che accade non accade per caso..." (Prima
ti sparavano adesso fanno un'inchiesta, il dubbio di Rizzo è da brividi – Il
Tempo). Rizzo mette l’accento sul fatto che
certe campagne mediatiche mirano ad obliare manovre politiche e finanziarie, spostando
l’attenzione su altri elementi e inserendo in maniera proditoria politiche quantomeno
discutibili nello spettro del socialmente accettabile: la finestra di Overton
si è spalancata.
Per fortuna la stampa
libera esiste e, per usare le parole di L. Sepulveda, raccontare la verità è una
forma di resistenza. Del resto la stessa Hannah Arendt scriveva:
“I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana
può essere cancellata completamente e al mondo c’è troppa gente perché certi
fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E
perciò nulla (scilicet “di ciò che viene raccontato”) può mai essere praticamente
inutile, almeno non a lunga scadenza”.
A mio modesto avviso, dunque, bisogna combattere
il totalitarismo in ogni forma, ma per prima cosa bisogna riconoscerlo e poi occorre
mostrare il coraggio di chiamarlo col suo nome, senza usare il linguaggio in
maniera da distorcere i dati di realtà.
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