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giovedì 16 aprile 2020

NUOVA POLITICA INDUSTRIALE


Spunti per politici a caccia di idee.

A seguito di ciò che sta accadendo a causa del COVID-19 bisogna ripensare la politica industriale Italiana in tempi rapidi, pena la completa scomparsa del tessuto industriale e commerciale con un inimmaginabile impoverimento di tutta la popolazione e la compromissione della capacità di restituzione del debito pubblico a causa dei ridotti flussi fiscali.

Ritengo che la ristrutturazione della politica industriale non possa passare che dalla definizione degli obiettivi di lungo periodo del sistema Paese. Occorre che si ricominci a pensare a 30/50 anni, questo perchè settori chiave per il paese quali: energia, telecomunicazioni, struttura informatica, istruzione, industria pesante, infrastrutture, trasporti richiedono orizzonti temporali ben al di sopra degli attuali standard. Questo primo assunto ha come risultato che è necessario identificare le filiere strategiche e, all’interno, le aziende strategiche.
A questo proposito sarà necessario impostare un’innovativa modalità di intervento in quanto al giorno d’oggi non solo aziende di grandi dimensioni possono essere strategiche, la diffusione della tecnologia e della ricerca diffusa ha fatto sì che anche piccole realtà possano essere di interesse nazionale.
Prima di poter pensare di definire politiche industriali di siffatta portata sarà necessario dotare lo Stato di una triade operativa rappresentata da: “braccia”, “portafoglio” e “fiscalità”.
Le “Braccia”: bisognerà identificare o creare un soggetto che possa applicare le politiche industriali e attuare le direttive conseguenti; nel passato abbiamo avuto un esempio importante di ente di stato l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), fondato nel 1933 e liquidato nel 2002. L’impostazione del nuovo soggetto dovrebbe essere simile, migliorandolo ed adeguandolo alle evoluzioni di mercato e tecnologiche. Particolare riguardo dovrebbe essere dato al controllo sulle società acquisibili, alla loro gestione ed alla gestione finanziaria delle stesse. Non è questo il contesto per sviluppare altri aspetti della missione del nuovo Istituto ma mi sento di porre l’accento su alcuni punti, a mio giudizio importanti, su cosa non dovrebbe essere: non sarà un nuovo ente per fare welfare, non sarà una cassaforte finanziaria e non sarà la pattumiera di aziende decotte.
Il “Portafoglio”: sarà necessario avere una o più banche pubbliche che possano fare da volano all’attuazione delle politiche industriali governative (alcune realtà già partecipate dal Tesoro potrebbero essere oggetto di un’estensione della partecipazione fino a quote di controllo). Dovrebbero attuare l’azione di raccolta dei capitali sui mercati nazionali ed internazionali oltre a garantire liquidità nei momenti di crisi. Un’attiva politica di mobilitazione del risparmio privato (uno dei più cospicui del Mondo) a favore e a sostegno dei progetti industriali e della ricerca per l’innovazione (compresi i progetti interni alle Università ed ai laboratori universitari) dovrà essere l’obiettivo principale di una delle nuove istituzioni pubbliche individuate. La società dovrà curare l’emissione di titoli a rendimento accettabile e con bassa tassazione per invogliare i risparmiatori; l’impostazione dovrà essere strutturata in modo che favoriscano, alla scadenza, la conversione in capitale di rischio facendo partecipare i sottoscrittori agli investimenti industriali che l’azienda dovrà fare (convertible bond). Altro elemento fondamentale di questo processo è la nazionalizzazione della Banca d’Italia, strada non facile dati gli interessi e le resistenze della BCE.
Componente fondamentale per una nuova politica industriale, terzo elemento della triade di intervento, la politica fiscale. Dividerei gli interventi in due aree definite dalla fiscalità corrente e dalla fiscalità per lo sviluppo.
Nella fiscalità corrente che dovrebbe essere rivista al fine di consentire una maggiore generazione di valore alle aziende rientrano: tassazione sul lavoro; tassazione sugli utili; tassazioni improprie introdotte negli anni per esigenze di cassa (iva sulle auto, tasse sulle assicurazioni, tasse sui telefonini, etc.) e, più in generale tutte le tasse che gravano sull’attività di impresa (compresa la tassa, neppure tanto occulta, della burocrazia).
La fiscalità per lo sviluppo dovrebbe puntare in primis su azioni di sostegno all’innovazione, ricordo che nei momenti di stress economico sociale sono nate alcune delle idee e, spesso, aziende che hanno cambiato il mondo (Mitsubishi, Honeywell, Singer, fino alle più recenti Netflix, Google, etc.). Fenomeni che dovranno essere sostenuti e favoriti prenderanno l’avvio da: processi di insourcing legati al rientro di attività che negli ultimi decenni sono state localizzate all’estero (il ripensamento delle catene logistiche, che avverrà a livello globale, avrà un impatto importante sulla ridistribuzione della catena del valore); la ricerca da parte di aziende estere di localizzazioni contigue agli insediamenti industriali continentali, si potrebbe/dovrebbe applicare una politica fiscale di aiuto all’insediamento e assunzione di manodopera locale (es. la politica Serba per gli insediamenti industriali); detassare per un periodo di almeno 10 anni gli utili provenienti da brevetti ed invenzioni estendendo e semplificando la norma sul “Patent Box”; applicare incentivi e crediti fiscali a qualsiasi azione che venga fatta per conquistare quote su mercati esteri (guardando il PIL dovremo recuperare quote importanti da esportazione e commercio estero per supplire all’inevitabile calo dovuto a componenti importanti nel recente passato come il turismo).
Discorso a parte merita la tematica della ricerca, l’attuale situazione sta dimostrando come una ricerca forte produce soluzioni industriali ed organizzative forti. L'intervento su quest’area deve essere duplice: investimenti e fondi diretti con forti controlli sui risultati e sui costi programmati e fatti ed un indirizzo sulle aree di interesse strategico; fiscalità ridotta (come sopracitato) e misure di incentivazione con crediti d’imposta; azzeramento delle tasse e della burocrazia sulla creazione di start-up ampliando quanto già in essere.
Ing. Massimo Introzzi - Sn. Partner 3I Partners e Prof. a Contratto Università degli Studi di Milano Bicocca

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