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giovedì 8 aprile 2021

PMI e Covid: la digitalizzazione delle PMI come possibile via di uscita dalla crisi (già pubblicato su Wall Street Italia marzo 2021)

Gli effetti della pandemia hanno colpito duramente il sistema economico e produttivo italiano. Secondo Confcommercio, il crollo dei consumi pari al 10,8% porterà alla chiusura di oltre 390.000 imprese; alla perdita di imprese va poi aggiunta anche quella relativa ai lavoratori autonomi, per i quali si stima la chiusura di attività per circa 200mila professionisti. Quali previsioni per i prossimi mesi? Secondo una ricerca della società di consulenza Deloitte, il 45% delle imprese italiane prevede di tornare ai livelli di fatturato precedenti la crisi innescata dal coronavirus solo nel secondo semestre del 2021 o nel corso del 2022. Il perseguimento di questi obiettivi di recupero poggia sullo sviluppo di tre direttrici: • L’internazionalizzazione e la diversificazione per beneficiare appieno della possibile ripresa mediante lo sviluppo di nuovi prodotti e nuovi mercati; • Il rafforzamento della solidità patrimoniale con il consolidamento dei debiti e l’incremento del capitale, per raggiungere la dimensione sufficiente per essere resilienti e competitivi nel medio-lungo termine; • l’innovazione dei modelli operativi per aumentare l’efficienza e l’efficacia, acquisendo maggiore flessibilità e capacità di adattamento alle nuove esigenze dei consumatori, facendo ricorso alle nuove tecnologie digitali.
 Proprio con riferimento alla digitalizzazione, in conseguenza del blocco improvviso delle attività, molte realtà hanno potuto continuare a operare grazie a strumenti e soluzioni digitali, come lo smart working, ma anche l’e-commerce. La situazione emergenziale, insomma, ha dato un’ulteriore spinta a un processo di digitalizzazione che era già in corso. Ma secondo l’indagine annuale condotta dalla Commissione Europea sulla digitalizzazione delle imprese, l’Italia figura al 25° posto su 28 Stati dell’Unione, e solo il 10% delle aziende ha un canale di vendita on line, rispetto alla media europea del 18%, con un ampio spazio di miglioramento. La percentuale di specialisti in Information technology è ben al di sotto della media europea, e solo l’1% dei nostri giovai è in possesso di una laurea in discipline informatiche (il dato più basso nella UE). Eppure, anche nelle aziende italiane si va affermando un trend culturale, più che tecnologico, definito “Open Innovation”, in base al quale le aziende, per creare valore e competere efficacemente, non possono più basarsi su idee e risorse interne, ma devono attingere al mondo esterno delle startup, delle Università, dei Centri di Ricerca, per ricercare contributi e competenze idonee ad implementare la trasformazione digitale. Questo processo è pressoché irreversibile e riguarda un po’ tutti i settori: • la Finanza è sempre più tecnologica a seguito dell’impegno di numerose startup innovative che spesso si pongono in alternativa ai servizi erogati dalle banche tradizionali; • la Logistica dove nuove tecnologie come l’Internet of Things, l’analisi dei Big Data e il Cloud Computing stanno disegnando scenari sino a poco tempo fa impensabili; • la Pubblicità ed il Marketing nel cui ambito la telefonia mobile gioca un ruolo sempre più strategico; • il settore automobilistico in cui le auto stanno diventando sempre più connesse e smart. La legge di Bilancio 2020 introduce il Piano di transizione Industria 4.0, una trasformazione del precedente Piano Industria 4.0 del 2017, il quale prevede un credito di imposta articolato per scaglioni, in maniera da favorire proprio le PMI aventi minori capacità di spesa rispetto alle grandi aziende. Dal 2019 è stato istituito anche il Voucher per la consulenza alle PMI in innovazione con un contributo pari al 50% delle spese sostenute dalle imprese, introducendo la figura dell’Innovation Manager, quale elemento propulsivo della trasformazione digitale. Dal 2015 è stata introdotta la categoria delle PMI innovative, con benefici analoghi a quelli riconosciuti alle startup innovative (equity crowdfunding, accesso semplificato al Fondo di garanzia del MISE etc.), entrambe censite in una apposita sezione del Registro delle Imprese. La preponderante presenza tra le PMI di imprese familiari, le loro ridotte dimensioni e la scarsità di risorse finanziarie possono costituire un ostacolo insormontabile per l’introduzione dell’innovazione nel panorama delle PMI italiano. Le Banche d’altro canto stanno ripensando le loro strategie di approccio al mercato imprenditoriale, con un grande sforzo di innovazione e lo sviluppo di nuovi servizi a maggior valore aggiunto, e intendono valorizzare ulteriormente il ruolo di “terminale relazionale” svolto dai consulenti finanziari sulla base di un consolidato rapporto fiduciario con i loro clienti. La consulenza finanziaria potrà svolgere un ruolo attivo nella promozione dello sviluppo digitale delle imprese sulla base della relazione sviluppata attraverso la gestione del patrimonio personale dell’imprenditore, e della collaborazione ulteriormente rafforzata di recente con i provvedimenti governativi di finanziamento garantito dallo Stato. Tema chiave sarà quindi quello del sostegno finanziario attraverso operazioni di intervento sul capitale o di fornitura di risorse finanziarie, facilitando, tra l’altro l’utilizzo dei provvedimenti predisposti dallo Stato per favorire l’uscita dalla crisi. Potrebbe essere significativo anche l’apporto di quelle competenze sviluppate dalle banche legate ai processi di internazionalizzazione, tramite la ricerca di partner esteri, analisi di mercato, coperture rischi, operazioni di garanzia, e ottimizzazione della gestione del circolante. Si vanno delineando nuovi scenari soprattutto per quegli operatori che vedono in questi tempi faticosi anche tante opportunità

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