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martedì 1 giugno 2021

BASTA BUGIE

 Don Gian Maria Comolli

Il Ddl Zan rientra in un percorso storico con un obiettivo  inequivocabile

Osservando i vari manifestanti a favore del Ddl Zan mi sono ricordato una frase del saggista e opinionista Diego Fusaro: “La vera schiavitù è quella in cui gli schiavi ignorano di essere tali e, di più, amano le loro catene, rivelandosi anche pronti a lottare per difenderle”. Già, perché la maggioranza di coloro che scendono in piazza o chiede l’approvazione di questo superfluo e deleterio provvedimento, certamente in buona fede, non comprendono di essere manipolati, sfruttati e strumentalizzati da selezionate e ristette élites politiche e accademiche trasnazionali e da potenti e influenti lobbies LGBT, che passo dopo passo, il Ddl Zan è un passaggio, hanno come finalità l’abolizione del concetto di natura e di limite, quindi di ogni fondamento antropologico, sganciando la persona da un’essenza biologica incontrovertibile, privandola della sua identità e dei suoi legami fondamentali, abrogando, da ultimo, la complementarietà del maschile e del femminile. Ma oggi, chi “difende l’evidenza” è additato come “un fobico”, ossia un portatore di fobie, cioè di paure irrazionali, immotivate e sproporzionate nei riguardi di qualcosa che pericolo non è. E, la fobia più clamorosa è “l’omofobia”, la patologia che per qualcuno affligge chiunque esprima posizioni in disaccordo con il pensiero dominante e le visioni correnti. Ma, rileggendo criticamente la storia degli ultimi decenni riguardanti l’ideologia di gender e i movimenti LGBT le cose non stanno così. Vediamolo insieme, puntando l’attenzione non sulle opinioni ma sui “fatti”.

Teoria del gender e Ddl Zan
 Il traguardo: dissociare il “sesso biologico” dal “genere”

 La “teoria del gender” dissocia il “sesso biologico” dal “genere” ritenuto il prodotto di retaggi storici, convenzioni sociali o mode culturali. E, guarda a caso, questa visione è presente anche nell’articolo 1 del Ddl Zan. Dunque, il gender, è un nuovo ruolo socio-psicologico intercambiabile a volontà fino ad identificarsi anche in un’ “identità neutra”. Ma, se “sesso” e “genere” non coincidono, il processo di definizione dell'identità diviene complesso e tortuoso. Approfondiamo i due “concetti”.L’ identità sessuale è l’appartenere al sesso biologico maschile o femminile e, questa peculiarità, è definita dalle caratteristiche sessuali e biologiche iscritte nel DNA di ogni persona nel momento del concepimento. L’ identità di genere, locuzione coniata dallo psicologo e sessuologo neozelandese John Money (1921-2006), dalla psicologa statunitense Evelyn Hooker (1907-1996) e dallo psichiatra e psicoanalista americano Robert Stoller (1925-1992), afferma che la differenziazione uomo-donna è il risultato dei modelli educativi condizionati dall'ambiente, dal contesto societario e dalla cultura. In altre parole, eliminato il fondamento naturale dell’identità sessuale, il dato corporeo smarrisce ogni significato, quindi, può essere modificato a piacimento, negando, tra l’altro, l’unitotalità della persona. Separando il sesso biologico da quello psicologico e sociale non esistono più tra uomini e donne differenze iscritte nella natura, ma le diversità riguardano “l’identificarsi”, “caratterizzato da una costellazione di aspetti psicologici, interessi, valori e attitudini associati ai generi in base ad aspettative, valori e norme culturali di riferimento” ( V. Zammuner, Voce: Identità di genere e ruoli sessuali, in S. Bonino-a cura di, Dizionario di psicologia dello sviluppo, pg. 339).

La storia

La “teoria del gender” nacque “ufficialmente” negli anni ’70 del XX secolo negli Stati Uniti nel corso della cosiddetta “rivoluzione sessuale” e investì la ricerca antropologica, psicologica, sociologica, filosofica e politica. Molti furono i personaggi di spicco. Money, Hooker e Stoller, la scrittrice e filosofa francese, teorica principale del femminismo S. De Beauvoir (1908- 1986), il filosofo francese omosessuale M. Foucault (1926-1964), il sessuologo statunitense pedofilo A. Kinsey (1894-1956) che lanciò una nuova visione di sessualità e un sistema di classificazione degli orientamenti sessuali: la pseudo-scientifica “Kinsey Scale”. Fermiamo la nostra attenzione su Money e sulla De Beauvoir. Money, pediatra presso la Johns Hopkins University di Baltimora, fu il fondatore e il responsabile della “Gender Identity Clinic” della stessa università occupandosi di dimorfismo sessuale. In breve tempo divenne famoso per le sue idee eversive: dal matrimonio “allargato” al nudismo, ma è ricordato principalmente per un brutale esperimento sul piccolo Bruce Reimer che scosse l’opinione pubblica americana. Bruce nacque affetto da fimosi del pene e fu sottoposto nell’aprile 1966 a un banale intervento di circoncisione. Però per un fatale errore i suoi organi genitali rimasero irrimediabilmente compromessi. I genitori disperati si rivolsero al dottor Money che decise di sfruttare il piccolo per sperimentare la sua “pazzia”, cioè che l’identità della persona non si fonda sui dati biologici ma sugli influssi dell’ambiente circostante. E così, nel luglio 1967, con un intervento sui genitali convertì Bruce in Brenda. Tuttavia, nonostante gli sforzi eroici dei genitori a educare il figlio divenuto figlia al mondo femminile, Brenda non ne volle sapere. Proseguì a comportarsi da maschio, e a sedici anni volle tornare al suo sesso biologico originale con il nome di David. Ma per il giovane la vita divenne insostenibile; si diede alle droghe e all’alcool fino al suicidio avvenuto nel 2002. Stessa fine fece il gemello Brian accorgendosi di essere stato usato da Money come strumento di confronto. Il medico, ormai illustre, proponeva ai suoi pazienti aberranti pratiche sessuali fino a dichiarare che anche un’esperienza di pedofilia “non aveva un influsso negativo sui bambini”. Con il trascorrere del tempo, il fallimento del suo esperimento fu reso pubblico dallo psichiatra Paul McHughr, e Money dopo essere stato acclamato e osannato, concluse miseramente la sua obbrobriosa carriera. A livello culturale la capostipite di questa teoria fu S. De Beauvoir che di fronte alla presunta subordinazione della donna all’uomo, pronunciò la famosa la frase: “Donna non si nasce, lo si diventa”, così spiegata: “Nessun destino biologico, psichico ed economico definisce l'aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell'uomo: è l'insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”( Il secondo sesso, pg. 325).

L’oggi del gender

Negli Stati Uniti e in vari Paesi, questa ideologia è un sistema di pensiero e di azione. Un importante contributo fu fornito anche dal “Movimento Femminista Americano” al quale non furono sufficienti le conquiste acquisite e le emancipazioni raggiunte che inneggiavano all’atteggiamento antagonista e competitivo della donna nei confronti dell’uomo, al carattere mutevole del corpo e alla negazione della sessualità come intrinsecamente procreativa, ma si pose come obiettivo l’ “irrilevanza biologica”, puntando sull’identità psico-sociale e civile. Questo percorso, che possiamo definire anche “colonizzazione ideologica” oggi è in pieno sviluppo e procede celermente a livello planetario. Sono nel mirino dalle Università al mondo dei giochi e della moda. Molti mezzi di comunicazione trasmettono il “gender diktat global”, sedimentando questo messaggio ideologico nella mente di migliaia di persone avvalendosi dei film, dei cartoni animati, delle Play Station e, in più in generale, dei social network. Neppure il linguaggio è escluso; nell’epoca del gender diktat vari termini sono stati essendo discriminatori o politically incorrect. Lo possiamo notare, ad esempio, dall’elenco del Gender-neutral language (“lingua neutra rispetto al genere” o “lingua inclusiva di genere”) pubblicato nel 2015 dal The Writing Center dell’University of North Carolina. I vocaboli non possono riferirsi al sesso del professionista o del lavoratore. Inoltre, è di pessimo gusto, pronunciare “marito” o “moglie” sostituito da “coniuge”, oppure “papà” o “mamma” rimpiazzati da “genitore 1” e “genitore 2”, poiché i termini non possono “discriminare” nessuno. Un baluardo che gli ideologi del gender intendono conquistare è la scuola, introducendo machiavellicamente corsi, progetti e proposte nella formazione degli insegnati e nella programmazione scolastica. E i genitori, il più delle volte, ignorano tutto ciò. Infine, in questa lotta ideologica, non poteva mancare la famiglia nei confronti della quale è in corso la più grave aggressione della storia. Ebbene, la guerra all’uomo e alla donna creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen. 1,26-27; 5,1-2.) e in pieno combattimento; ne sono testimoni le decine di casi “gender” che avvengono ogni giorno.

Omosessuali e Ddl Zan
La battaglia degli omosessuali

 Sulla base delle idee di Kinsey, sorse nel 1950 la “Mattachine Society” con la finalità di difendere i diritti civili degli omosessuali ritenuti una minoranza sessuale oppressa dalla maggioranza eterosessuale. La data simbolo dell’esordio del movimento LGBT fu il 28 giugno 1969. Quel giorno, la polizia, fece irruzione in un bar frequentato da omosessuali a New York nel Greenwich Village, un quartiere del distretto di Manhattan e, questo episodio, fu l’avvio dei cosiddetti “Moti di Stonewall”. Per questo, il 28 giugno, fu scelto dai gruppi omosessuali come data della "Giornata Mondiale dell'Orgoglio LGBT" o "Gay pride”. E, da quel lontano 1969, il movimento omosessuale riscosse sempre maggiori successi. In altre parole, dal “Greenwich Village”, partì l’obiettivo di tramutare una “stigmatizzazione sociale” nella “normalità” e una “normalità”, cioè l’eterosessualità, in “eccezione”, o quantomeno porla sullo stesso piano dell’omosessualità, rovesciando i comuni e millenari principi naturali e morali. Dal 1969, il centinaio di gruppi omosessuali divennero migliaia, supportati e sovvenzionati da influenti lobbies economiche e massmediatiche. Anche il termine “gay” (allegro, gaio, che dà gioia…) generato nei luoghi di divertimento in cui si ritrovavano gli omosessuali (dai bar ai pub), mostrò questa condizione piacevole, gradevole e affascinante essendo ormai il vocabolo liberato da arcaiche costrizioni. Un'altra vittoria, il movimento LGBT, la incassò nel 1973, quando l’ “American Psychiatric Association” (APA) rimosse con “un referendum” tra gli iscritti, mediante un’operazione che anche oggi desta molti dubbi, l’omosessualità come disturbo mentale dal “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” (DSM). Non è mia intenzione pronunciare giudizi ma solo sottolineare che tre pionieri della psichiatria: S. Freud, A. Adler e C. G. Jung nel tempo avevano reputato questo stato esistenziale una patologia. Inoltre, il famoso psichiatra Ronald Bayer, scrisse a riguardo della decisione dell’APA: “Il risultato raggiunto non è stato una conclusione basata su un’approssimazione di verità scientifiche dettate dalla ragione, ma un’azione di carattere ideologico dettata dai tempi” (Homosexuality and Americam Psychiatry: the Politics of Diagnosis, Priceton University Press, New Jersey 1987, pg. 99). Rapidamente, questa decisione, fu accolta da alcuni organismi internazionali tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Inoltre, negli anni ’70 del XX secolo, furono interrotti o meglio proibiti gli studi scientifici in questo settore, e i primi a “rimetterci” furono proprio loro, le persone omosessuali, abbandonate nella “battaglia” contro le loro disordinate e dolorose tendenze. E, una conseguenza di questo oblio, sono i molteplici suicidi, come evidenziato anche da un recente studio dell’Università Bicocca di Milano dal titolo: Estimating the risk of attempted suicide among sexual minority youths (“Stima del rischio di tentato suicidio tra giovani minorenni per motivi sessuali”), taciuto dalla quasi totalità dei mezzi di comunicazione ma pubblicato sulla rivista internazionale “JAMA Pediatrics” (2018 Dec 1, n. 172 -12- pp.1145-1152).

 Intolleranza, emarginazione e violenza

 I movimenti LGBT, si presentano all’opinione pubblica vittime di intolleranza e di violenza. Argomento falso, almeno in Italia, come possiamo costatare dal rapporto OSCAD 2010-2019 (Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori) dove alla voce: “Segnalazioni relative a crimini o discorsi d’odio per orientamenti sessuali” troviamo 294 denunce, cioè 29 all’anno. E, nel Codice Penale, sono già presenti tutte le normative per reprimere odiosi atteggiamenti nei confronti delle persone LGBT. Inoltre, uno dei più autorevoli e accreditati istituti americani d’indagine demoscopica, il Pew Research Center di Washington, ha pubblicato nel 2018 uno studio intitolato The Global Divide On Homosexuality contenente i risultati di un sondaggio sull’atteggiamento verso l’omosessualità nelle principali aree geografiche del mondo. Il dato interessante è che l’Italia si colloca nella top ten tra le dieci nazioni più gay friendly a livello mondiale con il 74% della popolazione che dichiara la propria non ostilità all’omosessualità e un 18% che, invece, professa un atteggiamento contrario. Il nostro Paese si colloca un gradino sotto la liberalissima Gran Bretagna (76% a favore e 18% contro), anch’essa appena sotto la laicissima Francia (77% a favore e 22% contro). Non possiamo scordare, infine, le fake news etichettate dai media come espressioni di omofobia, salvo poi venire smentiti clamorosamente poco dopo. Per rimanere agli ultimi tempi ricordiamo l'influencer Marco Ferrero (Iconize) che il 20 maggio 2020 aveva denunciato sui social di aver subito un pestaggio con insulti omofobi a causa del suo orientamento sessuale, smentito dallo stesso alcuni in una trasmissione di Barbara d’Urso. Oppure l’episodio avvenuto a Padova nel settembre 2020 con protagonisti Marlon Landolfo e Mattias Fascina una la coppia gay che aveva denunciato un aggressione omofoba. Per gli inquirenti e il giudice si è trattato di un pestaggio reciproco tra sette persone senza alcuna motivazione legata allʼorientamento sessuale. Oppure, nel marzo 2021, si scatenò un polverone mediatico intorno all’aggressione di due ragazzi omosessuali nella stazione Valle Aurelia della metropolitana di Roma. Le forze dell’ordine hanno individuato l’aggressore, un uomo già conosciuto per i suoi comportamenti aggressivi e violenti che aveva già offeso e ingiuriato altri “non gay”. Questo dimostra che l'episodio è da ricondurre più all'indole disturbata della persona che non al movente discriminatorio. Per quanto riguarda l’emarginazione, anche questa è una menzogna, poiché oggi le persone omosessuali, giustamente, occupano posizioni apicali in ogni settore e di alcuni, ad esempio nella moda, hanno la maggioranza del monopolio. Mentre, la loro tolleranza delle altrui idee, è spesso carente. Pochi conoscono, ad esempio, la storia di Philippe Ariño, un omosessuale spagnolo di 34 anni, insegnante a Parigi che intraprese il cammino di “ri-orientamento” e pubblicò il testo “Omosessualità controcorrente. Vivere secondo la Chiesa ed essere felice” (Effatà 2014). Intervistato dal mensile Tempi, alla domanda: “Chi come lei ha rinnegato il suo passato non è molto amato nella comunità LGBT. Come vive il rapporto con il mondo che ha frequentato?”, così rispose: “Mi hanno messo nella black list. Mi minacciano e mi danno dell’omofobo, ma non sarei resistito con loro: è un mondo di menzogne, che all’esterno si mostra gaio e dentro è pieno di rabbia e di tristezza. La maggioranza degli atti omofobi e degli insulti contro le persone con la mia tendenza provengono da persone che hanno ferite come la mia, che urlano e sbraitano perché sono fragili. Per questo dico che siamo i peggiori nemici di noi stessi”(24 ottobre 2014). Potremmo proseguire raccontando decine di episodi essendo il web colmo. E che dire della denuncia a G. Povia per la canzone Luca era gay (Festival di Sanremo 2009)? E che dire dell’episodio riguardante il francese monsignor T. Anatrella, gesuita, psicoanalista e commentatore sul Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche dei vocaboli “omosessualità” e “omofobia”? Fu accusato di abusi sessuali da due attivisti gay; inseguito si provò la falsità delle accuse. Si colpì, esigendo il ritiro dell’opera, colui che aveva manifestato una visione discorde sull’omosessualità. E che dire del “Cristo LGBT” in esposizione nel febbraio 2019 al Palazzo Ducale di Massa nella mostra “Storytelling” del siciliano Giuseppe Veneziano, patrocinata dal Comune della città? Il Cristo, era raffigurato in croce con degli slip leopardati marchiati “Dolce e Gabbana”, con sopra affisso al posto di “INRI” la dicitura “LGBT”. E che dire di Fedez, ormai strenuo difensore del Ddl Zan, che alcune settimane fa ha posato sui social una foto insieme alla moglie Chiara Ferragni in cui indossava una collana con Topolino crocifisso? Nonostante ciò, i massmedia, sempre attenti e vigili ad ogni minimo atto “negativo” nei confronti degli omosessuali, degli immigrati, dei rom e degli islamici…, hanno ignorano completamente i fatti.

L’obiettivo finale con il contributo del Ddl Zan

Da quanto affermato, risulta innegabile che l’obiettivo finale dei fautori dell’ideologia gender e dei gruppi LGBT, è di proporre alla società, e quindi alle nuove generazioni, il “modello omosessuale” come un comportamento normale e ordinario. Lo aveva già predetto il defunto professor U. Veronesi in un’intervista a “27esimaora” del Corriere della Sera. “Il futuro tende ad una parità anche ormonale dei generi (…). Quello che è in causa è l’eterosessualità in quanto norma. Dobbiamo cominciare a pensare a un mondo in cui sarà l’eterosessualità a non essere normale” (http://27esimaora.corriere.it/articolo/umberto-veronesi-il-futuro-tende-allaparita-anche-ormonale-dei-generi/). Perché tanta insistenza sull’omofobia? Così rispose il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione della Dottrina della Fede. “Al movimento omosessualista mancano gli argomenti scientifici, per questo hanno costruito un’ideologia che vuole dominare, cercando di costruire una sua realtà. E’ lo schema marxista, secondo cui non è la realtà a costruire il pensiero, ma il pensiero che costruisce la realtà. Quindi, chi non accetta questa realtà deve essere considerato malato. Come se, tra l’altro, si potesse agire sulla malattia con la polizia o con i tribunali. D’altra parte in Unione Sovietica i cristiani venivano chiusi nei manicomi: sono i mezzi dei regimi totalitari come il nazionalsocialismo e il comunismo. Oggi in Nord Corea la stessa sorte tocca a chi non accetta il pensiero dominante” (Dal blog di Costanza Miriano, 17 maggio 2018). Conclusione Da quanto affermato abbiamo intuito la pericolosità del tentativo di inserire nei vari contesti societari queste ideologie, e il Ddl Zan, è un tassello. Ciò che è accaduto in passato con le dittature politiche non dovremmo scordarcelo. Per questo, tutti insieme, ognuno utilizzando la propria creatività, deve comunicare e divulgare la trappola e l’inganno del Decreto, oltre che proseguire la contestazione anche a nome di coloro che non hanno compreso il rilievo di questa battaglia.

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