La recente discussione sulla proposta di istituzione di una tassa di successione, sulla quale il Centro Studi ha evitato accuratamente d’intervenire perché il dibattito politico esula dalle finalità statutarie, è comunque utile a proporre una nuova visione del concetto di tasse che, come sempre nel caso di Sinergie, ha lo scopo di riprendere concetti tradizionali sempre validi per uscire dalle manipolazioni del pensiero unico.
Nei prossimi mesi cercheremo di porre in essere delle iniziative atte a riesaminare la materia nella sua interezza, siamo infatti convinti che la mancanza di visione complessiva del dibattito politico sia non solo un problema per la produzione di leggi efficaci, ma anche una carenza culturale che riguarda ogni ambito della Società.
Il primo concetto che ci sembra utile esaminare è quello che le tasse
dovrebbero essere sempre strettamente poste in relazione ai servizi che si intende
offrire ai cittadini. Troppe volte le tasse sono servite solo a ripianare i
buchi di bilancio. Sarebbe come se un medico facesse una trasfusione ad un
paziente al quale non ha arrestato l’emorragia. Bisognerebbe anche capire se,
dopo gli ottanta euro di Renzi ed il reddito di cittadinanza del Movimento
Cinque Stelle, sia davvero utile che lo Stato dia direttamente soldi ai
cittadini, invece che dare servizi sociali che sono carenti ovunque. Da ultimo,
bisognerebbe verificare se è vero che i servizi devono essere intesi come
elementi essenziali che i cittadini non possono procacciarsi da soli, e non ci
pare il caso di specie.
Il secondo concetto che vorremmo porre all’attenzione è quello secondo
cui lo Stato non può aumentare a dismisura le proprie competenze senza creare
un apparato burocratico onnipresente ed in genere inefficiente, in particolare
sarebbe interessante riesaminare il concetto di “poteri minimi” che può fungere
da base per la semplificazione delle attività pubbliche a favore dell’ampliamento
dell’iniziativa privata.
Quelli che gli anglosassoni chiamano “just powers”, vengono intesi come
elementi assolutamente imprescindibili per i cittadini, tutto il resto rischia
di essere un carrozzone utile soltanto a sistemare gli amici degli amici. Non
si dimentichi che abbiamo ministeri brulicanti di persone che non riescono a
gestire servizi che vanno dalla Sanità alla Sicurezza, dall’Istruzione alla
manutenzione del territorio e delle opere pubbliche, non si sente la necessità
di aumentare un apparato ipertrofico ed inefficiente, del quale raramente si
riesce a sapere i costi, tipo la salute in Calabria.
Il terzo concetto, forse il più importante, è quello secondo cui lo Stato
non può occuparsi della redistribuzione del reddito se qualcuno non lo produce.
Ormai da decenni una visione dirigista orfana piangente dell’economia
pianificata pervade la classe dirigente le cui tracce mnestiche vanno a cercare
soluzioni nelle dottrine marxiste del Novecento. Se non si produce ricchezza,
ogni altra considerazione è inutile. La libertà imprenditoriale va
riconsiderata, e con essa le relazioni sindacali ed il sistema logistico. La
ripetizione ossessiva di queste ideologie non è mai riuscita ad innalzare il
prodotto interno lordo in maniera sufficiente.
Se, da una parte, non ci appassionano le dispute politiche basate sul
sensazionalismo populista, dall’altra riteniamo che ogni proposta vada vista
nell’ambito delle relazioni con gli elementi pertinenti. Questo vuol dire che i
politici devono reimparare a mettere nel giusto posto ogni affermazione al fine
di comporre ognuno la sua visione della cosa pubblica. La democrazia non è un
talk show, l’informazione non è una visione faziosa, le istituzioni non devono
essere affari lucrosi per le lobby.
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