Redirect

lunedì 10 maggio 2021

L’ATTUALITÀ DEL GIUDICE ROSARIO LIVATINO, BEATO

dal sito L’attualità del giudice Rosario Livatino, domenica beato (gianmariacomolli.it)

 Introduzione

“Oggi la Chiesa di Cristo è in festa. Chiesa, sei bella, sei viva sei vera”, proclama un canto di Marcello Giombini. Oggi la Chiesa è in festa perché un suo figlio è proclamato beato. Ma tutto il nostro Paese dovrebbe essere in festa, soprattutto la Magistratura, perché un suo eroe riceve un grande riconoscimento nella giornata del 9 maggio 2021, 28 anni dopo che san Giovanni Paolo II pronunciò al termine dell’omelia della messa celebrata nella Valle dei Templi ad Agrigento, un durissimo monito contro la mafia. “Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si può uccidere gli innocenti! Dio ha detto una volta: ‘Non uccidere’: non può l’uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione mafia compresa, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole la civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”.

Un intervento non previsto quello di papa Wojtyla al termine della Messa ma strettamente legato all’incontro che aveva avuto poche ore prima coi genitori di Rosario Livatino. Papà Vincenzo e mamma Rosalia toccarono il cuore del Papa. La madre non disse una parola, mentre per tutto il tempo dell’incontro il Papa le teneva le mani, guardandola con tenerezza e sofferenza. Il papà continuava a dire: “Santità, avevamo solo lui, ce lo hanno ammazzato”. “Non dimenticherò mai lo sguardo del Papa pieno di partecipazione e affetto”, testimonia la professoressa Ida Abate nel testo Il piccolo giudice. Fede e Giustizia in Rosario Livatino (ed. Ave). L’anziano papà ebbe anche parole di speranza: “Hanno reciso un fiore, ma non potranno impedire che venga la primavera”. E la professoressa intervenne ricordando Tertulliano: “Dal sangue dei martiri il seme di uomini nuovi”. “Il Papa - ricorda la prof. - mi guardò con molta attenzione, come per dire ‘è vero’ ”. Poi disse che Rosario era ‘uno dei martiri della giustizia e indirettamente della fede’.

Rosario Livatino: l’uomo

Rosario Livatino nacque a Canicattì il 3 ottobre 1952, da papà Vincenzo, laureato in legge e da Rosalia Corbo e da subito si rivelò eccezionale per intelligenza e l’applicazione negli studi. A 22 anni conseguì col massimo dei voti e la lode la laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo e dopo pochi anni la laurea in scienze politiche. Dopo aver lavorato come vicedirettore presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento nel 1978 entrò in magistratura, suggellando il sogno della sua vita, Per molto tempo fu sostituto procuratore ad Agrigento dove si occupò delle più delicate indagini antimafia oltreché di criminalità comune, mettendo le mani nella “tangentopoli siciliana” e inevitabilmente approdando alla mafia agrigentina. In seguito fu giudice preso il Tribunale nella stessa città e giudice a latere della speciale sezione misure di prevenzione e, molto probabilmente, fu questo delicato incarico a decretare la sua fine. Fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre 1990 sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre, senza scorta e con la sua auto, si recava in Tribunale. Aveva 38 anni. Stando alla sentenza che ha condannato esecutori e mandanti del suo omicidio, Livatino è stato ucciso perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l'espansione della mafia”. Il 19 luglio del 2011 fu avviato il processo diocesano di beatificazione. Il 21 dicembre 2020 Papa Francesco con un decreto riconobbe il martirio in “odium fidei”. La motivazione che spinse la mafia agrigentina ad eliminare Livatino, si legge nel documento pontificio: "fu la sua nota dirittura morale per quanto riguarda l’esercizio della giustizia, radicata nella fede. Durante il processo penale emerse che il capo provinciale di Cosa Nostra Giuseppe Di Caro, che abitava nello stesso stabile, lo definiva con spregio ‘santocchio’ per la sua frequentazione della Chiesa. Dai persecutori era ritenuto inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante".

Rosario Livatino: il magistrato

Scrisse nella sua agenda il 18 luglio 1978: “Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi secondo l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito”. Ciò mostra che il problema della giustizia e il suo impegno per la legalità furono da lui assunti come una vera missione. Due riflessioni di Livatino attualissime soprattutto di fronte ai vari scandali che circondano oggi il “potere giudiziario”. Indipendenza del giudice. “L'indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l'indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”. Gli elementi di una sentenza. “Il giudice deve offrire l’immagine di un uomo capace di condannare, ma anche di capire, deve dare alla legge un’anima, nel continuo sforzo di essere giusto nel condannare ma attento a non confondere la persona con il reato, scegliendo sempre secondo giustizia, anche se, scegliere è una delle cose più difficili che l'uomo sia chiamato a fare… (Ma) è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio: un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio” (Il ruolo del giudice nella società che cambia, conferenza tenuta il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì). In ossequio alle sue convinzioni conduceva una vita riservatissima nella casa che condivideva con i genitori. Tutto concentrato sul suo lavoro, se lo porta anche a casa per studiare le innumerevoli cause che ha seguito; sulla scrivania erano sempre presenti un crocifisso e un Vangelo. Non aderì mai a nessuna associazione, non rilasciò dichiarazioni o interviste sui casi e rarissimi furono i suoi interventi pubblici.

Rosario Livatino: il cristiano

La giornata del giudice Livatino, oltreché nutrita di Vangelo, era intessuta di preghiera. Prima di giungere in ufficio sostava a lungo nella chiesa di San Giuseppe ad Agrigento; una piccola chiesa isolata dove poteva pregare in incognito. Anche per la messa domenicale sceglieva chiese dove poteva passare inosservato, non volendo esibire la sua fede ma concretizzarla nella quotidianità. In fondo alle sue agende poneva sempre la sigla "S.T.D." che significava “Sub Tutela Dei”, cioè “nelle mani di Dio”. "Sin dalla giovinezza - si legge nell’atto di beatificazione - partecipò all’Azione Cattolica e frequentò la parrocchia, dove teneva conversazioni giuridiche e pastorali, dava il proprio contributo nei corsi di preparazione al matrimonio e interveniva agli incontri organizzati da associazioni cattoliche. Anche da Magistrato continuò a vivere l’esperienza della comunità parrocchiale". E nel 1988, a 35 anni di età, dopo aver seguito regolarmente il corso di preparazione, volle ricevere il sacramento della Confermazione. La spiritualità di Rosario Livatino era tutt’altro che fideistica e i suoi diari lo mostrano. Una frase presente in questi affermava: “Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”. Dalle persone che vissero accanto a lui apprendiamo che la sua fu anche una spiritualità tormenta. Tra il 1984 e il 1986, in coincidenza con difficili momenti professionali, così invoca l’aiuto di Dio: “Vedo nero nel mio futuro. Che Dio mi perdoni … Qualcosa si è spezzato. Dio avrà pietà di me e la via mostrerà?”. Concludiamo con questi due brani dai quali risulta chiaramente come nella vita del giudice fede e vita si intersecavano. “L’irrinunciabile primato di Dio nella coscienza dell’uomo non è in contrasto con il potere / giurisdizione della legittima autorità civile di organizzare la vita della polis bisognosa di ordine, legalità e giustizia. Nella dialettica Città di Dio - città dell’uomo, Gerusalemme - Atene, il cristiano obbedisce perciò allo Stato fino a quando questi non si mette contro Dio e la sua legge divina”. “Cristo non ha mai detto che soprattutto bisogna essere ‘giusti’, anche se in molteplici occasioni ha esaltato la virtù della giustizia. Egli ha, invece, elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano” (Fede e Diritto. Conferenza tenuta il 30 aprile 1986 a Canicattì).

Rosario Livatino: perché beato?

Molti magistrati furono uccisi dalla mafia a seguito del loro intenso impegno per sradicare questo orrore; su questo aspetto la sua storia non è diversa da quella delle altre vittime. Il “più” di Livatino va oltre l’aspetto deontologico e professionale raggiungendo lo spirituale che ha manifestato con la sua fede e nell’esercizio della carità. Tutto ciò aveva plasmato una personalità con una vita interiore ricchissima che estendeva ed espandeva nell’esperienza umana e professionale. Da ultimo Non volle la scorta per non mettere a rischio altri uomini, ben consapevole che prima o poi la mafia l’avrebbe colpito; decise di morire da solo, scappando in mezzo a delle sterpaglie. E sempre, per non coinvolgere degli innocenti, si apprende dalle testimonianze che rinunciò al matrimonio. Livatino oggi ci ricorda che è possibile svolgere qualsiasi professione, compresa quella del magistrato, in totale coerenza con i valori cristiani, con assoluta rettitudine e piena integrità anche in una società che ha scordato questi principi.

Don Gian Maria Comolli

Nessun commento:

Posta un commento