Domenica 7 febbraio la Chiesa Italiana ha celebrato
la 43° Giornata a Favore della Vita. Questa ricorrenza fu istituita nel 1978, allorché
anche in Italia, fu autorizzato l’aborto con l’infame legge 194 dal titolo drammaticamente
beffardo: "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione
volontaria della gravidanza". Da allora di aborti nel nostro Paese, cioè l’
uccisione di un essere umano nella prima fase della vita, ne sono stati eseguiti
ufficialmente 6.300.000 oltre a quelli clandestini e quelli causati
dalle “pillole abortive” (Norlevo, EllaOne…).
La prima responsabile di questo “omicidio” o meglio
“figlicidio”, è la madre, colei che dovrebbe essere la responsabile
dell’incolumità del figlio; colei che dovrebbe tutelare un essere piccolo,
debole, fragile e indifeso, mentre come affermato da Papa Francesco, è colei
che “affitta un sicario” (28 ottobre 2018).
Aborto.
La manipolazione del linguaggio
Ho intenzionalmente utilizzato i vocaboli
“omicidio”, “figlicidio”, “sicari” poiché come ammonì san Giovanni Paolo II nel
Messaggio per la XIII° Giornata Mondiale per la Pace: "Restaurare la verità significa innanzitutto chiamare con il
loro nome gli atti di violenza, quali che siano le forme che assumono”, mentre
la cultura attuale ci abbindola con termini ingannevoli. Ad esempio, la parola
“aborto” sta scomparendo lasciando spazio all’espressione “interruzione
volontaria della gravidanza”. E’ “una sostituzione tutt’altro che innocente; è
un modo elegante per creare una cortina fumogena attorno alla tragica realtà in
questione. ‘Interruzione’ è un termine per nulla drammatico. S’interrompe una
conversazione, una trasmissione televisiva per riprenderla poco dopo, e il
carattere omicida dell’azione si dissolve dietro un termine pacifico e
innocente” (L. Ciccone, La vita umana,
Ares, pg. 102). Così commentò il cardinale G. Biffi il titolo della legge: “Ho
subito ammirato la raffinata ipocrisia dell'intitolazione. Essa mette in primo
piano un valore indiscusso e un programma da tutti condivisibile, quale la
‘tutela della maternità’ (che però nell'attuazione sarebbe stata avvertita
fatalmente come una preoccupazione secondaria), e per indicare un'azione da
sempre percepita nella coscienza comune come abietta ed esecrabile si è
utilizzata una perifrasi costruita con parole in se stesse innocenti:
gravidanza, volontà, interruzione. Una coraggiosa schiettezza, senza ‘laici’
bigottismi, avrebbe dovuto preferire la denominazione più perspicua e più
‘onesta’ che sarebbe: ‘Norme che regolano l'aborto volontario e il suo pubblico
sovvenzionamento’ ”(Memorie e
disgressioni di un cardinale cittadino, Cantagalli, pg. 381).
Attenzione perché le manipolazioni del linguaggio
con il trascorrere del tempo modificano anche il “modo di pensare”.
Aborto.
La manipolazione delle coscienze
Preoccupa molto la pressante campagna massmediatica
che sta mutando, giorno dopo giorno, nella coscienza del popolo italiano
un’azione negativa, in atto neutro o anche positivo essendosi plasmata, come
ricordava Benedetto XVI al Movimento per la Vita, “una mentalità di progressivo
svilimento del valore della vita. Da quando in Italia fu legalizzato l’aborto
ne è derivato un minor rispetto per la persona umana, valore che sta alla base
di ogni convivenza, al di là della fede professata” (17 maggio 2008). E,
Giuliano Ferrara, scrisse: “l’aborto da ‘legale’ è diventato ‘legittimo’ e
moralmente indifferente” (Il Giornale, 15 gennaio 2008).
E’ il pensiero di tanti italiani che affermano: “L’aborto
è un fatto di coscienza: io non lo farei mai, ma devo rispettare la libertà
altrui”. Dichiarazione viziosa,
poiché l’aborto non riguarda unicamente la libertà della donna ma il diritto
alla vita di un altro essere umano di cui siamo responsabili, essendo ogni uomo
“il guardiano di suo fratello, perché Dio affida l’uomo all’uomo” (Giovanni Paolo
II, Evangelium vitae, 19). Di
conseguenza, la vita di un innocente, supera la questione “privata” assumendo
un'ampia “dimensione sociale”. Inoltre, sempre per la mentalità comune, è
legittimo che la Chiesa condanni l’aborto ma lo “Stato laico” ha l’obbligo di
legalizzarlo. L’errore del ragionamento riguarda che l’aborto non è unicamente
un peccato, ma un atto omicida, perciò opposto al “bene comune”. E nessuna
società civile può legalizzare “l’omicidio di Stato”. L’articolo 2 della
Costituzione Italiana, dichiara: “La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali…”.
Ciò significa che lo Stato deve intervenire per evitare abusi sulle persone in
situazioni di vulnerabilità e di fragilità; le più bisognevoli di tutela
giuridica.
E opportuno inoltre evidenziare che questo argomento
non è solo religioso ma totalmente e
pienamente umano, quindi deve coinvolgere la società nel suo complesso. Umberto
Bobbio filosofo, giurista e senatore a vita in occasione del referendum del
1981 affermò: “Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un
laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico,
il ‘non uccidere’. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il
privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”(Corriere della Sera, 8 maggio 1981). Dello stesso parere è Papa Francesco. “Il problema dell’aborto
non è un problema religioso:
noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. E’ un problema umano e va studiato
dall’antropologia. Studiare l’aborto incominciando dal fatto religioso è
scavalcare il problema poiché c’è la questione antropologica sull’eticità di
far fuori un essere vivente per risolvere un problema. Questa è la discussione.
Io non permetto mai che si incominci a discutere il problema dell’aborto dal
fatto religioso. No. E’ un problema antropologico, è un problema umano”(26
agosto 2018).
In Italia, l’aborto oggi sta divenendo un principio,
una verità indiscutibile, un argomento sul quale è impossibile qualsiasi riflessione
anche se supportate dalle evidenze scientifiche e dalla ragione. Questo delitto
deve rimanere confinato nella coscienza individuale e non può assumere una
valenza sociale, tanto meno politica, come avviene in altri Paesi. E, anche
quando si tenta un confronto, si ha l’impressione che l’obiettivo è di
mantenere posizioni equilibrate, quindi non conformi alla verità, per “non
aprire”, si dice: “vecchie ferite”.
Aborto.
Manipolazione della donna
In Italia abbiamo superato i 6.300.000 di aborti per
questo una domanda è d’obbligo: “come è possibile la presenza di milioni di
situazioni di ‘grave pericolo’ per cause attinenti a una gravidanza in corso?”.
Verso il ricorso all’aborto, oggi c’è un ignobile
agevolazione e favoreggiamento; ogni
“scusante”, anche le piccole difficoltà che ogni gravidanza normale comporta è
sufficienti per abortire, escludendo dalla scelta, nella maggioranza dei casi,
il padre, cioè il ruolo maschile nel processo della generazione ed ovviamente
il feto.
Inoltre, l’iter da seguire è semplice, quasi banale.
La donna si rivolge ai consultori familiari pubblici, o alle aziende sanitarie,
oppure a un medico di fiducia. E’ sottoposta a una rapida visita ginecologica,
e “dovrebbe” essere informata delle alternative per “superare le cause che
inducono all’interruzione della gravidanza”
come evidenziato dal titolo della legge: “Norme per la tutela sociale della
maternità…”. Utilizziamo il verbo al
condizionale (dovrebbe) poiché il più delle ciò non avviene. Solitamente, il
medico, gli consegna unicamente il documento che l’autorizza a eseguire, dopo
sette giorni, l’intervento chirurgico. La gravida firma inoltre alcuni
documenti di consenso informato, spesso priva di informazioni sugli eventi
avversi e sulle possibili complicanze, ed è “pronta” per la “gratuita”
interruzione della gravidanza. Nessuno le indica le possibilità alternative.
Siamo ben consci, però, che accanto a migliaia di
donne che abortiscono “superficialmente” non comprendendo la gravità morale
dell’atto e le conseguenze che dovranno affrontare nella vita, sono presenti
madri, sposate o non, che vivono angosciosi dilemmi, e per loro la gravidanza è
motivo d’immensa sofferenza, poiché a volte quando si è gravide si perde il
posto di lavoro (alcuni datori esigono dalla lavoratrice l’interruzione della
gravidanza), non si possiedono i soldi per giungere alla fine del mese e forse
neppure un uomo al proprio fianco.
Ecco la lotta che accanto a quella culturale
dobbiamo condurre: consentire a queste donne di non abortire, esigendo la
piena e totale applicazione dell’articolo 5 della legge 194 che non lascia
spazio a interpretazioni ambigue o ideologiche. Afferma l’articolo: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria,
oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in
ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza
sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari
sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del
concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della
riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito: le
possibili soluzioni dei problemi proposti; di aiutarla a rimuovere le cause che
la porterebbero alla interruzione della gravidanza; di metterla in grado di far
valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre; di promuovere ogni opportuno
intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia
durante la gravidanza sia dopo il parto”. Dobbiamo però denunciare che i
“consultori” costituiti come luoghi di accoglienza, di sostegno e di
dissuasione, si sono mutati per la carenza di risorse e per la presenza di
molti operatori non obiettori, in “fabbriche dell’aborto” snaturando la
legge.
Possediamo, inoltre, altre modalità per impedire
questo atroce atto.
La presenza dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV) che rispondono in modo concreto
alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa. Con
l’opera di centinaia di volontari, dal 1978 hanno aiutato a nascere circa
150mila bambini. Un autentico dono alla vita e all’Italia che invecchia. E,
“nessuna mamma - sostengono - ha mai rimpianto la scelta di far nascere il
bambino che aspettava”.
Il Progetto
Gemma, sempre attuato dai CAV
che offre a una futura mamma un sostegno economico che le può consentire di
portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola poi
nel primo anno di vita del bambino.
Le Culle
per la vita, cioè la moderna
riedizione delle “Ruote degli Esposti”, presenti in vari luoghi del nostro
Paese. Rappresentano un’alternativa per tutte quelle donne che non vogliono o
non possono recarsi in ospedale a partorire.
In ospedale si può anche partorire in modo anonimo e abbandonare il
neonato alla struttura sanitaria che provvederà alla cura (Cfr. Legge
198/1983, art. 28, comma 7; D.P.R. 3 novembre 2000, art. 30, comma 1).
Da ultimo, un valido aiuto può venire dal servizio Sos Vita; un servizio telefonico che sostiene donne e coppie donandogli
amore e coraggio per affrontare la gravidanza (numero verde 800813000).
Sono queste le risposte che tante donne attendono,
ma che poche conoscono, ben offuscate dalla furia del “mondo abortista”.
Don Gian Maria Comolli
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