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lunedì 15 marzo 2021

Il dramma e lo psicodramma

In questi giorni difficili in cui dopo un anno di lotta ancora non si riesce a vincere l’epidemia di Sars Cov-2 le discussioni interne al Partito Democratico assumono dei tratti che vanno dal surreale al tragicomico.

Parliamo di un partito in perdita di consenso importante nel corso degli ultimi anni. Gli elettori che sembrarono affezionarsi rapidamente al PD di Renzi alle europee del 2014, altrettanto rapidamente si disaffezionarono alle politiche del 2018.

Capisco lo sgomento e lo sconcerto di una classe politica che vede il suo consenso in caduta libera anche se occupa tutte le leve del potere, dalla magistratura alle grandi aziende di stato, dai media mainstream al mondo accademico, dall’editoria al mondo che gestisce le attività culturali. Capisco le smanie per affermarsi, ma i dirigenti che hanno pontificato in questo momento contro Zingaretti corrono il rischio di sembrare come i ricchi che brindavano con lo champagne sul ponte del Titanic mentre la fiancata della nave era già squarciata.

La classe dirigente del PD che oggi gestisce alcune leve importanti del potere esecutivo dovrebbero ricordarsi che il proprio partito ha perso le scorse elezioni politiche talché, in molti casi, autorevoli esponenti avevano dichiarato che la collocazione naturale del PD sarebbe stata all’opposizione.

Mentre si assiste al dramma di un governo incapace di fronteggiare l’epidemia, è abbastanza disdicevole lo psicodramma di un partito che si divide sulla linea politica da tenere mentre è saldamente incollato alle poltrone dell'esecutivo.

Lo psicodramma del PD non è l’unico, purtroppo, mi pare che buona parte della classe dirigente anche di altri partiti sia vissuta declamando ideologie novecentesche e agitando capri espiatori, sarà per questo che non si riesce ad affrontare la situazione?

Quando nella cultura anglosassone si vuole assumere la leadership di qualsiasi cosa, bisogna esporre la propria “vision”, cioè la strategia che si intende attuare. Se in Italia dici che hai una “visione” è abbastanza probabile che ti sottopongano ad un trattamento sanitario obbligatorio. Sarà per questo che i programmi, quando si scrivono, sono dei libri di sogni che hanno poco a che vedere con la realtà.

In quest’epoca strana in cui per lavorare al Mac Donald devi essere laureato mentre basta la terza media per fare il ministro, il PD non è stato solo il partito a scegliere in maniera inappropriata i suoi elementi, se a questo si aggiunge il persistere di una cultura fatta di ideologie del secolo scorso, mi sembra veramente difficile che Enrico Letta, novello Cincinnato richiamato a Roma dall’orticello di Parigi, possa far riassumere al PD un ruolo importante che solo gli elettori potranno decidere di tributargli alle prossime elezioni politiche.

I partiti, tutti e quindi non solo il PD, dovrebbero comprendere che un serio processo di elaborazione della visione complessiva alla quale improntare la strategia per condurre la “res publica” è un elemento imprescindibile che comporta un intenso lavoro di meningi, di logica e di buon senso. L'abbandono di feticci ideologici come lo "ius soli" potrebbe essere un buon segnale, anche se Letta non sembra averlo colto nel suo discorso iniziale al partito.

Le difficoltà del PD, così come quelle di altri partiti, potrebbero essere ricercate in una cultura di base della politica che ci portiamo appresso dal 1861, per la quale la politica si svolge più in privato che in pubblico ed in cui gli attori palesi non sembrano avere una reale capacità di conduzione della cosa pubblica.

Una reale presa di coscienza di quanto dannose siano le conventicole che stanno dietro ai partiti potrebbe essere un primo passo per uscire sia dallo psicodramma, che non è difficile, ma anche dal dramma dell'epidemia, che oggi sembra insormontabile.

2 commenti:

  1. Purtroppo caro Generale è una triste realtà. Questi personaggi sembrano non avere la minima idea dei problemi veramente importanti ed urgenti per gli Italiani.

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  2. È incredibile come in un momento come questo di totale crisi economica si possa pensare che il primo problema dei giovani sia il voto a 16 anni anziché un lavoro che 30 anni ancora non c'è

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