Don Gian Maria Comolli
Il percorso per l’approvazione del bilancio 2021-2027 dell’ Unione Europea, comprendente il Piano di rilancio e di ripresa definito “Recovery Plan”, si è interrotto il 15 novembre nella riunione degli ambasciatori dei ventisette Paesi che avrebbero dovuto approvare tre punti. La clausola che vincola i fondi all’osservanza dello Stato di Diritto, e qui era sufficiente la maggioranza qualificata, quindi è stata ratificata. Il secondo punto riguardava l’approvazione del bilancio comunitario, il terzo l’incremento delle risorse per autorizzare la Commissione Europea a trovare sul mercato i 750 miliardi di euro da distribuire ai vari Paesi. Questi due punti richiedevano l’unanimità.
Dopo l’approvazione del primo punto, Polonia e Ungheria, si sono rifiutate di dare parere positivo al secondo e al terzo argomento.
Pertanto, dopo l’ostruzionismo degli scorsi mesi dei Paesi definiti “frugali”, superato con una complessa trattativa a luglio, siamo nuovamente fermi, o meglio si è avviato un altro negoziato con la speranza che il 10 dicembre nella riunione della Commissione Europea si giunga a una votazione condivisa da tutti per evitare di avviare il 2021 sprovvisti del bilancio e quindi senza Recovery Plan.
Ciò che è avvenuto, ovviamente ci rammarica, poiché i tempi per ottenere finanziamenti indispensabili per la ripresa del nostro Paese si allungano, ma ciò è la conseguenza dell’aver vincolato i fondi all’attuazione dello Stato di Diritto che contempla tra l’altro norme riguardanti le comunità LGBT e l’aborto. Questo è il nocciolo del problema come evidenziato sia dalla presidenza tedesca che dal governo ungherese. Ha affermato Sebastian Fischer, portavoce della presidenza tedesca del Consiglio Ue: “I due Stati membri hanno espresso la loro opposizione rispetto ad un elemento del pacchetto (la condizionalità sullo stato di diritto, appunto) ma non sulla sostanza dell’accordo sul Bilancio”. Tutto ciò è stato confermato anche da Zoltan Kovacs, Segretario di Stato ungherese, che ha scritto: “Non è l’Ungheria che ha cambiato posizione. Continuiamo ad accettare l’accordo approvato dai capi di Stato e di governo dell’Ue a luglio. La posizione ungherese rimane invariata. Però non possiamo sostenere il piano nella sua forma attuale, che lega i criteri dello Stato di Diritto alle decisioni sul bilancio, poiché va contro le conclusioni del Consiglio Europeo di luglio”.
E questo non è un passaggio secondario che nella narrazione della maggioranza dei mezzi di comunicazione è stato volutamente tralasciato, scatenando ire nei confronti di Polonia e di Ungheria, dove, è bene ricordarlo, sono presenti governi “democraticamente eletti”. Possano piacere o no, ma tutti devono farsene una ragione!
“Irresponsabili”, “inetti”, “cinici”, “sconsiderati”… hanno gridato in molti, o “populisti senza scrupoli” secondo Giuseppe Conte, o peggio ancora, per il miliardario abortista e speculatore (celebre fu l'attacco alla Lira del 1992) George Soros, Polonia e Ungheria, sono: “indegni ed antidemocratici contro i quali l’Europa deve agire senza indugi e senza cedere a compromessi”.
Invece NO, i due Paesi, stanno rispondendo con l’arma del “ricatto” a un “ricatto” di cui sono vittime.
Per una lettura corretta della situazione non possiamo scordare due recenti episodi detestati dall’Unione Europea. In Polonia, il 22 ottobre 2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato che gli aborti motivati dalla “probabile malformazione del feto”, ad esempio labbro leporino o sindrome di Down, sono incompatibili con la Costituzione del Paese. Ciò è stabilito anche in Italia dalla legge 194/1978, non contemplando la nostra normativa “il diritto a nascere sani”, e di conseguenza il ricorso all’eugenetica, come chiaramente precisato da due sentenze della Corte di Cassazione: la 14488/04 e la 25767/15. Ma, nel nostro Paese, ogni scusante è valida per ingaggiare, come ha ricordato anche questa settimana da Papa Francesco agli argentini, un “sicario” per uccidere. In Ungheria, il Parlamento, sta esaminando un Disegno di Legge che vieterebbe l’adozione dei bambini alle coppie di persone dello stesso sesso. Secondo la proposta, potrebbero adottare dei figli solo le coppie uomo-donna sposate.
Ebbene, mentre i Paesi frugali capitanati dall’Olanda, ben nota per i suoi deplorabili “paradisi fiscali”; si calcola che il 30% del proprio getto fiscale lo ricava in questo modo, bloccarono per mesi i Recovery Plan per motivazioni unicamente economiche, queste due nazioni stanno percorrendo la stessa strada per difendere “nobili valori” che noi fatichiamo non solo a comprendere ma anche ricordare: la tutela delle radici cristiane e dell’ identità nazionale, oltre che la vita e la famiglia. E, soprattutto, vogliono sottrarsi alle dittature del pensiero unico e del relativismo.
Due precisazioni. Sono stati i Paesi frugali (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia) a chiedere l’introduzione della clausola riguardante lo Stato di Diritto, ovviamente con la finalità di scatenare la reazione di Budapest e di Varsavia, e così rimandare l’approvazione dei Recovery Fund. E i due Paesi, hanno tutto da perdere nel bloccare il bilancio e i Recovery Fund poiché, ad esempio, l’Ungheria riceve 6,3 miliardi dai fondi di coesione e la Polonia 7,5 miliardi dal nuovo schema di solidarietà europea.
La lettura dell’episodio come conseguenza di una mentalità populista o sovranista è falsa e riduttiva, poiché il problema è immensamente più profondo, riguardando l’unità e il futuro di un soggetto, cioè l’Unione Europea, privo di un collante morale e di valori comuni. Si è preferito nella costruzione di questo Soggetto seguire le vie più agevoli: quelle economiche, politiche e istituzionali, privando a volte gli Stati di parte della loro sovranità e cedendo a meschini interessi di partiti e di lobbies. E questi sono i frutti!
Già nel 1982, san Giovanni Paolo II, da Santiago di Compostela lanciò all’Europa questo appello che non ha perso la sua attualità e il suo mordente, e forse resta l’unico strumento per salvare l Unione pericolosamente cascante e diroccata. “Lancio verso di te, vecchia Europa - affermò Giovanni Paolo II - questo grido pieno d’amore: ritrova te stessa, sii te stessa, scopri le tue origini, ravviva le tue radici, rivivi questi valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza sugli altri continenti”.
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