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lunedì 2 novembre 2020

SOLO LA “SUSSIDIARIETÀ CIRCOLARE” CI SALVERÀ

Ha affermato il 17 ottobre monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e già coordinatore del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa intervenendo alla “III° Giornata della Dottrina Sociale della Chiesa” tenutasi a Lonigo.
 “Non c’è dubbio che l’attuale pandemia da Covid/19 abbia avuto e avrà importanti ripercussioni sull’economia. Credo che, nel marasma delle informazioni che ci arrivano a questo proposito, due elementi possano essere ritenuti certi.
Il primo è che l’impatto sull’economia reale delle imprese e delle famiglie sarà molto pesante. Attualmente gli effetti sono tenuti a freno da misure artificiali, ma ciò non può durare a lungo.

Il secondo è che ci sono molti centri di potere politico e finanziario che intendono usufruire della pandemia per riorganizzare, in un senso che non può lasciarci tranquilli, l’economia mondiale. L’economia in questo momento è quindi preda di ideologie e la stessa pandemia viene gestita ideologicamente”.
Di fronte al timore manifestato da monsignor Crepaldi vorrei ragionare con voi di una “metodologia economica” poco conosciuta, definita di sussidiarietà circolare, promossa principalmente dal professor Stefano Zamagni, economista, docente universitario, ex presidente dell'Agenzia per il Terzo Settore e attualmente presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
 
Sussidiarietà
Il termine “sussidiarietà” è un vocabolo importante nella Dottrina Sociale della Chiesa ma poco sviluppato nel nostro Paese. Fu collocato nella Carta Costituzione solo nel 2001 con gli articoli 118 e 119 approvati a seguito della riforma del Titolo V, mentre nell’ Unione Europea fu introdotto nel 1992 con il Trattato di Maastricht assumendo una doppia valenza. Quella di raccomandazione agli Stati affinché sia attuato nei singoli Paesi e quello di metodologia della stessa UE che si propone di intervenire nelle politiche delle nazioni unicamente quando queste non realizzano gli obiettivi comunitari.
Cos’è la sussidiarietà? Affermò il 1 maggio 1981 san Giovanni Paolo II: “Una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (Enciclica Centesimus Annus n.48). Ma già decine di anni prima, precisamente nel 1931, papa Pio XI ammonì: “il solo mantenimento di questo livello di ordine gerarchico renderà l'azione dello stato più prospera e più forte sarà la potenza sociale” (Enciclica Quadragesimo Anno n. 81). Dunque, la sussidiarietà, sollecita i singoli gruppi della società civile a promuovere interventi per il Bene Comune con il supporto, esempio economico, dello  Stato.
Sussidiarietà circolare
Tre sono le caratteristiche della sussidiarietà.
Verticale
E’ il decentramento da parte dello Stato di alcune competenze che trasferisce alle Regioni, Provincie, Comuni che a loro volta affidano a singoli Enti.
Orizzontale
E’ il favorire soggetti della società civile nella gestione di alcuni servizi, però nell’ottica della ausiliarità e compensività.
Circolare
E’ “l’alleanza” tra i tre soggetti primari della società civile: quello pubblico, quello imprenditoriale e quello privato sociale con la finalità di “progettare assieme” e su un piano di parità i vari interventi.
La “modalità circolare” nacque alla metà del 1.200 con la scuola francescana, in particolare con un saggio di san Bonaventura da Bagnoregio, docente di filosofia alla Sorbona di Parigi, che evidenziava i benefici per il Bene Comune derivanti dal costante dialogo e dalla condivisione della governace tra principi, mercanti (gli imprenditori moderni) e confraternite (la società civile).
Dunque, alla base della sussidiarietà circolare sta il presupposto che Stato, Mercato e Privato Sociale (o No Profit) “operino assieme”, superando la supremazia degli uni sugli altri, intraprendendo la via della “reciprocità” anche acquisendo, come ricorda Zamagni, delle “quote di sovranità”.
Perché lo Stato dovrebbe condividere questa innovativa metodologia?
Per due motivi che approfondiremo inseguito: l’incapacità di gestire uno statalismo e una burocrazia fuori controllo ma soprattutto per l’impossibilità nel futuro di poter offrire servizi a tutti i cittadini nell’ottica dell’universalismo.
 
Stato e sussidiarietà circolare
Dalla sua nascita l’Italia si è sempre più statalizzata e burocratizzata, e oggi lo Stato si propone il “grande padrone” di orwelliana memoria. Un percorso, come ricordato da monsignor Crepaldi che si è velocizzato negli ultimi mesi: “La debolezza della popolazione, l’allarme sociale spesso indotto e l’isolamento alimentano un bisogno di protezione che offre allo statalismo uno spazio inatteso. Lo Stato centrale non sta dando grandi risposte alle problematiche sanitarie e a quelle sociali che ne conseguono, eppure casi come l’Italia, oltre a tanti altri, testimoniano questi processi di riaccentramento”, ed io aggiungo, neppure tanto mascherati dalla maggioranza giallo-rossa. Esempio emblematico fu l’aiuto alle scuole paritarie bloccato dal M5S. Il centralismo statalistico ha prodotto nei decenni impersonali, disumane e impietose burocrazie con le quali tutti qualche volta abbiamo dovuto entrare in contatto, oltre che inflessibili amministrazioni come dimostra la storia riportata nel post. E come scordare il debito pubblico che negli ultimi anni ha raggiunto livelli da terrore?
Ebbene, lo Stato e i suoi rappresentanti di ogni livello (dal governo ai sindaci) devono, se vogliono onorare il Bene Comune, “fare un passo indietro” rinunciando all’ambiziosa convinzione di detenere poteri assoluti e all’autoreferenzialità giustificata, dicono loro, dalla legittimazione popolare, conservando invece come  ricordava Pio XI, il ruolo di impulso, di stimolo, di coordinamento, di sorveglianza e di vigilanza. La parità, richiesta dalla sussidiarietà circolare, gioverebbe ai cittadini che avrebbero come interlocutore uno Stato che liberato da onerose e gravose gestioni potrebbe occuparsi totalmente a sviluppare coerenza e unità, oltre che esercitare il ruolo di garante nei confronti dei bisogni dei singoli affinché tutti giungano ad uno sviluppo umano integrale.
Inoltre, questo percorso, scioglierebbe un’altra criticità. Il “pubblico” possiede risorse in progressiva diminuzione rischiando nel futuro di non più rispondere alle varie esigenze nell’ottica dell’universalismo. Quando si afferma che “mancano le risorse” ci si riferisce prevalentemente a quelle pubbliche non alle private che ci sono, ma nessuno ha mai attinto ad esse con progettualità per incanalarle alla fornitura di servizi di welfare.
Impresa e sussidiarietà circolare
Il privato, intraprendendo un'attività investe capitali, assume il rischio d'impresa, imposta la produzione favorendo gli interventi che offrono il massimo profitto, prevalentemente a breve termine, aderendo alle leggi del mercato. Ciò è legittimo e  eticamente corretto, ma di fronte all’attuale situazione le strategie miranti unicamente ed esclusivamente al profitto a breve termine pongono notevoli perplessità poiché l’oggi richiede molto di più; il comprendere che l’imprenditorialità umana deve precede l’imprenditorialità economica se desideriamo che abbia un futuro. Questo è “sano realismo”, poiché se la prospettiva prossima sarà quella della povertà generale che comporta un arresto o una drastica riduzione dei consumi, anche il profitto, non solo di breve termine ma anche a lungo termine, non reggerà.  Ecco perché anche il settore dell’impresa, nell’ottica della solidarietà orizzontale, deve fare la propria parte affinché i cittadini riacquistino nuovamente l’opportunità e la fattibilità di “spendere”. Di conseguenza, il welfare community, riguarda anche loro, oltrepassando quello che già molti attuano, il welfare aziendale.
E’ teorico o utopistico immaginare che gli imprenditori facciano loro questa visione di sostenibilità, di solidarietà e di sussidiarietà? Un esempio virtuoso, e non è l’unico, fu offerto dall’accordo raggiunto in Argentina nell’agosto 2020 tra Stato e imprenditori, in un Paese che rischiava il terzo default in vent’anni. Ebbene, in extremis, le imprese accettarono di trattare con il governo per ristrutturare 65 miliardi del debito. Il tutto - si legge nel comunicato - "senza aumentare l'importo totale dei pagamenti di capitale o degli interessi”. Questa visione innovativa può nascere unicamente da una trasformazione culturale dal momento che gli insegnamenti delle cosiddette Business School sono paradigmi superati che non funzionano in questa nuova epoca storica dove il profitto dovrà intersecarsi con la virtù.
Terminiamo smontando un’insignificante tesi dell’attuale Maggioranza parlamentare che reputando il Mercato un nemico da combattere, anela al ritorno di un onnipotente statalismo, scordandone gli storici fallimenti. Il loro cavallo di battaglia è l’inaffidabilità del Mercato scordando che spesso anche il pubblico è irresponsabile. Ad esempio, si parla molto della fallimentare gestione del Ponte Morandi di Genova da parte del gruppo Benetton che portò alla sua caduta per omessa manutenzione ma contemporaneamente si scorda il crollo, l’8 aprile 2020, del Ponte di Albiano (MS) sul fiume Magra al confine con la provincia della Spezia che non provocò vittime unicamente essendo il traffico ridotto dal lockdown. Era controllato non dal privato ma da un ente statale: l’Anas.
No-profit (o Terzo Settore) e sussidiarietà circolare
Il termine “no-profi” significa “non per profitto” o “senza fine di lucro”, ed indica lo stile degli enti di natura giuridica privata costituiti da dipendenti o da volontari o da entrambi. Circa 336.000 con oltre un milione di lavoratori, che possiedono come peculiarità il dono, cioè la “solidarietà” definita dall’economista Geminello Alvi: “un vero atto economico almeno quanto il tornaconto per il mercato”. Inoltre, non scordiamo, che in questi enti è assente la “logica mercenaria”, non distribuendo gli eventuali “utili” ma reinvestendoli nell’attività o in progetti sociali. Le loro attività hanno finalità prevalentemente di carattere socio-sanitario, educativo, culturale o riguardano l’integrazione societaria delle fasce più deboli della popolazione. Sono gestiste da Enti, Fondazioni, Cooperative Sociali, ONG e da migliaia di associazioni di volontariato. Per la loro competenza, celerità e sollecitudine, oltre che per una profonda conoscenza delle esigenze del territorio, rispondono alle necessità dei cittadini in modo migliore, più professionale e a costi minori rispetto alle strutture statali. Purtroppo, fino a oggi, non sono stati adeguatamente valorizzati dallo Stato ma solo “sopportati” o “sfruttati”. Pensiamo alle scuole paritarie minimamente supportate e agevolate, di conseguenza impossibilitate ad attuare l’inclusione che sognano e desiderano. Rimanendo nell’ambito scolastico sono fonti di notevoli risparmi per la collettività e ciò oggi non guasta. Il costo per alunno, grazie a una gestione oculata, quasi pignola, richiede un onere inferiore fino al 40% rispetto al pubblico.
La sussidiarietà circolare sollecita i corpi intermedi a compiere un salto di qualità, rifiutando mansioni di “operatori sociali” o il produrre beni e servizi che né lo Stato né il mercato hanno interesse a realizzare. Esige inoltre la loro valorizzazione e la partecipazione alla collettività dell’enorme potenzialità che posseggono.
Da queste brevi osservazioni abbiamo compreso che la “sussidiarietà circolare” è un formidabile strumento per affrontare “insieme” le sfide future. Chissà se il Presidente Conte se ne ricorderà quando dovrà progettare l’utilizzo degli ipotetici Ricovery Fund? 
 
Don Gian Maria Comolli
 
 
 

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