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lunedì 30 novembre 2020

La Rappresentanza Militare tra presente e futuro. La sfida tra ammodernamento e deriva sindacale.

  Col. a. (ter.) Mauro ARNO'


Il Decreto Legislativo nr. 66/2010 “Codice dell’Ordinamento Militare” (C.O.M.) all’articolo 1475, riprendendo l’articolo 8 della legge 11 luglio 1978, nr. 382, “Regolamento di Disciplina Militare (R.D.M.)”, afferma che “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”.

La Corte Costituzionale, con la sentenza nr. 120/2018 ha dichiarato tale norma illegittima e l’ha riformulata come “i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.

Tale sentenza troppo frettolosamente e superficialmente recepita da molti come l’avvento di una “sindacalizzazione militare” (in questo suffragata da altrettanto troppo superficiali e precipitose “esternazioni” effettuate dal Ministro della Difesa “pro-tempore”) ha dato l’avvio alla costituzione di svariate associazioni che si ripropongono di ergersi a “difensori” dei diritti dei militari nei confronti dell’ Amministrazione militare, senza che siano chiari e definiti ruoli e campi di intervento,  iniziando una campagna di proselitismo tra i militari.

I tentativi di una sindacalizzazione militare, del resto, partono da lontano: già nel 1999, con la sentenza nr. 499, la Corte Costituzionale (a seguito di una ordinanza emessa dal Consiglio di Stato il 2 giugno 1998 la quale dichiarava che l’art. 8 – primo comma – del R.D.M. 1978 violava il principio di uguaglianza e di democraticità all’interno delle Forze Armate) stigmatizzava l’impossibilità della Rappresentanza Militare a promuovere contenziosi avverso il Ministero, per atti lesivi degli interessi dei rappresentati, nonché la sua rigida strutturazione per legge violando così la libertà di organizzazione e pluralismo, la contrapposizione fra liste ed il collegamento fra candidati sulla base di un programma comune. Tuttavia la Corte, anche in tale circostanza, riteneva conforme il divieto di organizzazione sindacale all’interno delle Forze Armate, dal momento che la declamatoria di illegittimità incostituzionale “aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare”.

Altri due tentativi della Giustizia Amministrativa Ordinaria (Consiglio di Stato del 4 maggio 2017 e TAR del Veneto del 3 novembre 2017) ritornavano sul tentativo di occuparsi del diritto di associazione sindacale nell’ambito delle Forze Armate appellandosi alla supposta incompatibilità della norma in vigore con quanto statuito dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Ancora una volta si confrontano il diritto fondamentale all’associazione in generale e all’associazione sindacale in particolare da un lato, e i principi di coesione interna, neutralità e prontezza operativa delle Forze Armate dall’altro.

Da un lato, il Consiglio di Stato dubita che la Rappresentanza Militare – così come attualmente strutturata – possa soddisfare le esigenze indicate dalla Corte Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo poiché non consente di dare vita a forme autonome di rappresentanza, anche al di fuori di eventuali strutture costituite per legge.

Dall’altro lato, la Corte Costituzionale considera che le Forze Armate sono preposte alla tutela di un valore dell’ordinamento di carattere supremo – e quindi primario – quale è la difesa militare dello Stato, che è una delle garanzie poste ai fini della cosiddetta Forma Repubblicana.

La Corte Costituzionale pertanto, al termine dell’esame delle varie rimostranze addotte ed avendo escluso il diritto alla partecipazione al giudizio delle principali sigle sindacali, conclude che sebbene “il divieto di costituire tali associazioni, contenuto nella disposizione censurata, è incompatibile con l’articolo 11 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo”, osserva che la normativa internazionale – applicabile all’Italia ai sensi degli articoli 10, 11, e 117 della Costituzione, non arriva a considerare il diritto di associazione sindacale come diritto assoluto applicabile in ciascuno degli Stati contraenti senza alcuna limitazione, ma propone delle specifiche limitazioni per le Forze Armate e di Polizia.

Non è pertanto vietato che le legislazioni nazionali disciplinino e riducano i diritti sindacali in quanto tali, per ragioni di pubblica sicurezza, ordine pubblico e difesa dello Stato ovvero a Forze di Polizia e Forze Armate anche se non è neppure consentito un divieto generalizzato di associazione sindacale. Va quindi da sé che se – da un lato – il secondo comma dell’articolo 1475 C.O.M., laddove vieta in modo assoluto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale è inammissibile“la portata e l’ambito di tale diritto vanno, tuttavia, precisati alla luce dell’intero contenuto delle norme internazionali evocate”.

In definitiva, la Corte Costituzionale delinea quale debba essere il sistema costituzionalmente corretto, escludendo che possa ricorrersi ad una generale sindacalizzazione delle Forze Armate (a partire dall’ingresso dei sindacati, in quanto tali, nel mondo militare proprio in ragione della specificità dell’ordinamento!).

La Corte ribadisce il principio di netta separazione tra l’ordinamento della Pubblica Amministrazione e quello che è l’Ordinamento Militare poiché sebbene entrambi rispondano all’esigenza di efficienza ed efficacia della Pubblica Amministrazione, hanno natura, struttura e scopi tra loro diversi e incompatibili.

Chiarito che un diritto di associazione, anche per finalità sindacali, da realizzarsi nei limiti di legge, esiste ed è un diritto fondamentale, la Corte – in assenza di una norma specifica – affronta il tema del suo contenuto.

La prima considerazione fatta dalla Corte è che una associazione con finalità sindacali è – per prima cosa – una associazione tra militari, quindi ricade nel primo comma dell’articolo 1475 C.O.M.: va costituita ed è soggetta all’assenso del Ministero della Difesa; deve essere inoltre costituita in forma democratica e politicamente neutra e quindi non ci dovranno essere collegamenti, neppure indiretti, con sindacati esterni e partiti politici. Non può essere esercitato il diritto di sciopero e ci si dovrà limitare alla trattazione della materia del benessere del personale, negli stessi limiti e nelle medesime forme già riconosciuti in via ordinaria alla Rappresentanza Militare; sono pertanto escluse “le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-amministrativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale”.

In conclusione, quale futuro attende l’Organizzazione Militare? Meglio rinnovare l’attuale Istituto della Rappresentanza Militare ideato e realizzato per rappresentare le esigenze spicciole di un’Organizzazione basata quasi esclusivamente sulla Leva, ovvero lasciarsi attrarre dalle sirene di una già nutrita schiera di sedicenti “associazioni professionali a carattere sindacale”, accettando un “salto nel buio”, con il rischio di demolire irrimediabilmente l’efficacia di uno dei pilastri a tutela della libertà e della democrazia della Nazione?

Sarà compito della Politica dare la risposta più adeguata a questo dilemma augurandoci, tutti, che –una volta tanto – ci sia lungimiranza nelle decisioni afferenti il tema vitale della Difesa.

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